Libro: LA CONDIZIONE PSICOLOGICA DELLO STUDENTE E DELLA FAMIGLIA

 

Il vissuto di malattia determina notevoli ripercussioni sullo stato fisico, emotivo e relazionale del bambino/ragazzo. In particolare, è utile comprendere quali sono i possibili effetti cognitivi ed emotivi provocati dalla patologia e dai ricoveri ospedalieri.
Anche le famiglie, di fronte alla malattia di un figlio, mostrano peculiari modalità relazionali e reattive all’evento, anche in base alla tipologia del legame affettivo e allo stile di attaccamento che caratterizza quel nucleo familiare.
La scuola può contribuire ad arginare lo sconvolgimento della vita familiare, mantenendo la continuità di un’area fondamentale in età evolutiva.

6. La famiglia e la malattia

6.1. Le reazioni emotive dei genitori

Responsabilità, inutilità, impotenza

Per tutti i genitori, comunque, indipendentemente dalla storia precedente, l’incontro con la malattia del figlio porta in primo piano un’indescrivibile sofferenza, che perdura a costituire lo scenario di base su cui si inscrivono le altre tematiche emotive, ognuna delle quali, peraltro, rappresenta a sua volta un ulteriore motivo di sofferenza.

Innanzi tutto occorre considerare il sentimento di responsabilità, sempre presente, in rapporto al loro ruolo sia generatore sia accudente e protettivo, che li pone in una posizione determinante rispetto alla vita del figlio, in particolare di fronte ad eventi sfavorevoli. Tanto più nelle loro aspettative c’era una previsione di gioia e di sicurezza, quanto più ora si sentono falliti, schiacciati dal peso di aver esposto il figlio a questo dramma.

Si tratterà di vedere nel tempo come è possibile modulare questo sentimento, restituendo una valenza positiva alla responsabilità genitoriale: naturalmente è preziosa ed insostituibile la figura dei genitori per il bambino/ragazzo nel percorso di malattia (analogamente a quanto accade per altre esperienza problematiche).

Il valore del loro ruolo per il figlio, che ha bisogno di loro più che mai, va opportunamente sottolineato e/o richiamato, in modo che possano riscoprirlo ed esercitarlo pienamente, accompagnandone l’esperienza con modalità accoglienti, sostenenti, consolatrici, quindi vivificanti. I genitori sono chiamati ad esercitare pienamente la loro funzione, aiutando il bambino/ragazzo a curarsi, ma soprattutto a vivere e a crescere. Strettamente collegati alla responsabilità sono i desideri che si affacciano con forza alla mente dei genitori: il primo e il più grande è quello di potersi sostituire al figlio nell’esperienza di malattia, offrendo il proprio dolore (e se occorre anche la propria vita) al suo posto; il secondo, anch’esso potente, è quello di essere in grado di fare qualcosa di determinante per la sua guarigione, ritrovando così un senso inequivocabilmente positivo nel proprio ruolo.

Non conta più per i genitori quanto avevano desiderato quel figlio, nemmeno se l’avevano non solo naturalmente accettato ma anche fortemente amato ed attentamente accudito: la malattia provoca una terribile ed inevitabile frattura nella prospettiva di vita immaginata per lui, cui si associa un vissuto di incapacità/impossibilità a proteggere e a difendere la propria creatura: provano intensi sentimenti di inutilità ed impotenza. 

Angoscia di morte, incertezza

Sul loro rapporto con il figlio si è pesantemente calata l’angoscia di morte, particolarmente drammatica ed inaccettabile proprio perché il bambino/ragazzo rappresenta la loro continuazione nel futuro: vorrebbero potersi sostituire, ma possono solo assisterlo.

Anche in caso di andamento favorevole, i genitori possono sentirsi “forzati” dalla malattia ad abbandonare le proprie certezze per “maturare” dolorosamente atteggiamenti più realistici, che non escludano i margini di rischio: “l’ansia dell’incertezza”  è il prezzo del confronto obbligato con i limiti e la precarietà della condizione umana, anche rispetto ai figli, la cui vita e il cui destino non è completamente nelle loro (pur amorevoli) mani. Per reazione, anche nel tentativo di trovare un po’ di sollievo alla propria sofferenza, tante volte i genitori cercano di recuperare una posizione di controllo sugli eventi.

Allora ripensano al loro comportamento verso il figlio, ricercando cause e colpe, anche semplici trascuratezze: il grande sforzo di ripercorrere “alla moviola” ogni istante viene compiuto con l’obiettivo di “invertire la rotta”, dando d’ora in poi un contributo positivo, veramente determinante nel proteggere e difendere la vita della propria creatura. Nel lavoro con i genitori è prezioso cercare di ritrovare insieme una prospettiva diversa, anch’essa sicuramente dolorosa ma più autentica, basata sul riconoscimento dell’impossibilità del controllo totale degli eventi e sulla valorizzazione delle possibilità di condivisione e di consolazione, sia nel rapporto con il figlio sia nelle altre relazioni.

Solitudine, estraneità, diversità

In molti casi la normale rete di rapporti del nucleo familiare rischia di incrinarsi, in modo particolare all’inizio del percorso di malattia, soprattutto in rapporto ai sentimenti di solitudine e di estraneità che i genitori provano: sono portati a pensare che nessuno li può capire. Anche successivamente le relazioni sociali possono essere modificate dall’esperienza in atto, che comporta una diversa ottica di valutazione dei fatti della vita: il benessere e/o la vita del figlio è per loro l’unica aspirazione, mentre gli altri continuano ad interessarsi e/o a preoccuparsi per ogni insignificante banalità (come le ferie, la macchina, ecc.).

Nasce un forte sentimento di diversità che contribuisce a rarefare i contatti esterni. In molti casi, tuttavia, solitudine e diversità sono vissute anche all’interno della stessa coppia genitoriale: padre e madre, pur provando entrambi lo stesso grande dolore, lo avvertono con risonanze diversificate in rapporto sia alla storia personale sia al coinvolgimento reale nell’assistenza; inoltre, possono alternare momenti di disperazione e di fiducia con tempi personali variabili, nonché tendere a manifestare in modo diverso i propri sentimenti. Nella loro condizione di sovraccarico emotivo ogni piccola sfasatura reciproca, anche solo nell’atteggiamento, può risultare insopportabile: si consolida allora il sentimento di incomunicabilità e sembra manifestarsi un’estraneità totale.