Libro: LA CONDIZIONE PSICOLOGICA DELLO STUDENTE E DELLA FAMIGLIA

 

Il vissuto di malattia determina notevoli ripercussioni sullo stato fisico, emotivo e relazionale del bambino/ragazzo. In particolare, è utile comprendere quali sono i possibili effetti cognitivi ed emotivi provocati dalla patologia e dai ricoveri ospedalieri.
Anche le famiglie, di fronte alla malattia di un figlio, mostrano peculiari modalità relazionali e reattive all’evento, anche in base alla tipologia del legame affettivo e allo stile di attaccamento che caratterizza quel nucleo familiare.
La scuola può contribuire ad arginare lo sconvolgimento della vita familiare, mantenendo la continuità di un’area fondamentale in età evolutiva.

3. L’esperienza emotiva

La malattia pone una grande sfida al bambino/ragazzo, che deve già affrontare i cambiamenti continui legati alla crescita fisica e mentale, accanto alle sollecitazioni e alle richieste diversificate dei suoi vari ambienti di vita, nell’ambito di interazioni complesse con gli adulti e i pari: speranze, timori, dubbi, ansie su di sé e sugli altri, accompagnano il percorso evolutivo con maggiore o minore intensità in rapporto alle circostanze interne e/o esterne.

Come in tutte le situazioni di importante sofferenza, è in primo piano la solitudine, ovviamente senza radici concrete, in quanto il bambino/ragazzo non è mai fisicamente solo. 

Si tratta quindi di un sentimento di solitudine, che (se pur intrinseco all’esperienza umana a partire dalla nascita) nel caso di una malattia grave si ricollega ai seguenti aspetti:

  1. il sentirsi fonte di sofferenza per i propri familiari può favorire timori, se non di essere proprio abbandonato, di poter compromettere la qualità del rapporto con loro, ritrovandosi più solo;
  2. l’essere implicato nel proprio corpo, nella propria salute e nella propria vita (cioè in prima persona) confronta inevitabilmente con una condizione di solitudine, perché anche chi ti vuole bene non può prendere il tuo posto né affronta le tue stesse esperienze: si ribadisce così la separatezza e si sancisce una distanza, che appare più o meno profonda;

  3. la necessità di salvaguardare il più possibile il buon legame con i genitori, o comunque il desiderio di proteggerli, porta a limitare la ricerca di condivisione con loro della propria sofferenza, creando una situazione di solitudine proprio rispetto alle figure di riferimento familiari;

  4. il sentirsi isolato dai coetanei, non solo quando non si può stare con loro, ma anche quando si è con loro, perché la propria esperienza condiziona un’ottica diversa, più matura: non si riesce più a godere insieme a loro dei momenti “sciocchi” e degli scherzi “puerili”, che peraltro sono normali.

L’attenzione degli adulti (genitori, curanti, insegnanti, volontari) e un eventuale intervento psicoterapeutico (individuale e/o di gruppo) possono contribuire a limitare il vissuto di solitudine, ma non possono azzerarlo.

Molto rilevante nell’esperienza di malattia è inoltre il sentimento di diversità, che sostiene anch’esso prospettive di solitudine, variamente riverberato a livello:

  1. fisico, in rapporto alle modificazioni corporee;
  2. relazionale, in rapporto al vissuto di estraneità e di incomunicabilità, rispetto ai “non malati”;
  3. psichico, per la crisi d’identità intrapersonale, tra il sé sano di prima e quello malato di adesso.

Particolarmente intenso infine può essere il sentimento di dipendenza, a sua volta fonte di diversità, connesso:

  1. alla realtà fisica e alle necessità terapeutiche;
  2. al vissuto di fragilità, che rinforza aspetti “infantili”, accentuando il legame con i genitori fino a renderlo esclusivo, a scapito del rapporto con figure extrafamiliari, sia adulte sia coetanee.

Sia per la diversità sia per la dipendenza è fondamentale aiutare il bambino/ragazzo a riconoscerne ed accettarne gli aspetti reali, ridimensionando i vissuti di esclusione e favorendo lo scambio con gli altri e la crescita. L’esperienza di malattia non va “ghettizzata”, ma restituita allo scenario esistenziale, accanto ad altre occasioni di difficoltà e di sofferenza.

Ampliare lo sguardo per contestualizzare la propria esperienza nell’ambito di possibili e diversificati percorsi di vita può aiutare il bambino/ragazzo malato a modulare emergenze di rabbia, che non sempre sono positivamente convogliate in “grinta” con ricerche attive di recupero, ma più spesso sostengono atteggiamenti negativi ed ostili, controproducenti rispetto a possibili momenti di “normalità”, peraltro molto desiderati.